Quel mostruoso universo della mano sinistra
Scorrendo il susseguirsi dei secoli, la storia europea (ma non solo) appare come un lungo e macabro campionario di repressioni crudeli nei confronti degli “invertiti” dei “rovesciati”, dovute spesso a suggestioni magico- religiose, o a credenze popolari o persino a motivazioni “scientifiche”.
La sinistra è sempre stata «l’altra» mano, quella del diavolo, dipinto nelle iconografie medievali con due arti identici e non speculari.
Nella tradizione giudaico-cristiana come in quella musulmana, per la quale è vietato lavarsi e cibarsi con la mano «impura», il destino subalterno dei mancini è tracciato con chiarezza: «La mente del sapiente si dirige a destra e quella dello stolto a sinistra», si legge nell’Ecclesiaste (X,2).
Il linguaggio comune è in tal senso trasparente: un “tiro mancino”, un aspetto “sinistro”, tutte espressioni che indicano la malevola diversità del mancinismo o, nel migliore dei casi, la sua sventurata minorità, se non da punire almeno da compatire e reorientare sul retto cammino.
Come scrive il ricercatore francese Pierre-Michel Bertand, autore di una pregevole “Storia dei mancini”: «La preminenza della mano destra è un pregiudizio che ha segnato con un’impronta indelebile la nostra struttura mentale. Verso qualunque ambito del pensiero – religioso o profano, dotto o popolare – ci rivolgiamo, la questione ritorna con insistenza: alla mano destra tutti gli onori, tutti i privilegi, tutte le nobiltà; alla sinistra tutti i biasimi, tutti i compiti subalterni, tutte le viltà».
Tralasciando anatemi e visioni apocalittiche più o meno strumentali, la discriminazione degli individui mancini ha seguito anche strade meno brutali, ma non per questo meno umilianti.
Con l’avvento della monarchia centralizzatrice e delle usanze cortigiane, la pessima reputazione dei mancini si è infatti tradotta e codificata come «cattiva educazione».
Il perno è la “tavola”, luogo attorno al quale si costruiscono le “buone maniere” e si scava la frontiera tra le classi. Il «maleducato» non può, in tal senso, che provenire da ambiente sociale infimo, estraneo alla nobiltà e alle regole della «decenza».
Erasmo da Rotterdam nel De civilitate morum puerilium intimava a chiunque sedesse a tavola di «non posare un piatto, né versare da bere con la mano sinistra», consuetudine che è rimasta e probabilmente rimarrà inalterata anche nei galatei del futuro. Non solo chierici e sovrani assoluti, ma anche i governanti progressisti delle emergenti società borghesi si sono però distinti nella repressione del mancinismo.
La formazione degli Stati moderni, dei loro armamentari di controllo e imposizione delle norme e delle consuetudini collettive ha paradossalmente “socializzato” la repressione, rendendola forse meno intensa, ma senza dubbio più sistematica in quanto incorporata nella funzione educativa, di cui lo Stato detiene il monopolio incontrastato.
La scuola di massa diventa così il purgatorio dolente di tutti i bimbi mancini, sventurati individui da correggere attraverso i metodi più coercitivi. Sempre in Francia, i temibili istitutori della Terza Repubblica, oltre a reprimere le inflessioni dialettali a colpi di bacchetta, si sono distinti per metodico accanimento e inventiva nel trasformare ogni studente in un perfetto destrimane. Uno dei sistemi più efficaci consisteva nel legare il braccio sinistro dietro la schiena durante i dettati.
Con le buone o con le cattive, insomma.
Qui il fondamento non è più magico-religioso, ma prettamente positivista e secolarizzato.
L’anomalia non deriva più da una trasgressione teologica o politica, ma è il sintomo di un’infermità sociale, paragonabile alla dislessia, alla balbuzie o ad altre disfunzioni penalizzanti.
Lo stato deve in tal senso intervenire prima che sia troppo tardi, permettere al futuro cittadino di conformarsi senza sforzi a usi e costumi delle maggioranze. Viene a formarsi così tutta una pseudo letteratura clinica sulla tara patologica dei mancini e sulla necessità di curarli «per il loro bene».
Persino quando si distinguono nel campo dell’arte e della scienza, è il compatimento, la logica correzionale che continuano a imporsi. Lo stesso Leonardo, non proprio un abbrutito, è descritto dallo storico dell’arte Eugène Müntz (e siamo alla fine dell’Ottocento) come «una sorta d’infermo».
Se per le democrazie autoritarie il mancinismo è una malformazione del tutto correggibile, ben diverso è l’approccio delle ideologie totalitarie.
Il disprezzo dei mancini ha infatti corredato a più riprese le “teorie” del razzismo biologico.
Nel 1913 su una rivista medica britannica il professor E. T. Wrebster sosteneva, non si sa in base a quali statistiche, la «maggiore diffusione dei mancini tra i negri e i selvaggi rispetto alle società civilizzate».
E’ l’epoca della criminologia lombrosiana che riattribuisce al mancinismo tratti esiziali, inclinazioni malvagie, un po’ come accadeva nell’antichità, quando i preti ricordavano ai fedeli con quale mano «Eva colse la mela del peccato».
Non c’è da sorprendersi se nella cornice delle grandi costruzioni razziste, tra neri, ebrei, zingari e omossessuali, ci sia spazio anche per i non destrimani; individui diversi ai quali riservare la stessa infausta sorte degli handicappati.
Mi fa piacere e rileggo la mia esperienza.Nel60 alle elementari mi fu legata la sinistra.Maledette usanze a 64 anni faccio tutto anche suonare,ma non scrivo con naturalezza!Prima libertà negata.