Il dilemma della mano
Secondo gli autori si indica come mano dominante quella che scrive, disegna, dà un pugno, lancia una palla, tiene una racchetta o una spada.
In generale è la stessa mano, cioè la destra per la maggior parte delle persone. Ma succede anche che si cambia mano dominante in funzione dei compiti da realizzare.
In un’indagine condotta su giocatori di tennis mancini, si è percepito che buona parte di loro utilizzava la mano destra per diversi lavori di forza o di precisione.
In generale si ammette che i mancini sono meno lateralizzati dei destri, in particolare per le funzioni del linguaggio.
Questo li aiuterà nello sport? La maggiore rappresentazione dei mancini in certe discipline potrà effettivamente essere un vantaggio, come per esempio nella scherma (salvo per la sciabola), nel pugilato e, come rilevano recenti statistiche, nel tennis o nel tennis tavolo.
Questa constatazione ha dato luogo a diverse spiegazioni. La più evidente è che, negli sport ad opposizione duello, il mancino sorprende più facilmente il suo avversario, nella misura in cui è più spesso opposto ad un destro.
Tuttavia questa spiegazione cessa di essere convincente quando si va ad alto livello e si arriva all’élite in cui i mancini sono numerosi quanto i destri.
Sono state apportate altre ipotesi anatomo-fisiologiche, in particolare quella molto ingegnosa della specificità emisferica.
Una di loro parte dal principio che il mancino beneficia di trasmissioni corticali più rapide rispetto al destro.
La mano sinistra è comandata dall’emisfero destro, che prende ugualmente in considerazione le funzioni percettivo-spaziali e l’innesco del movimento.
Tutto succede nella stessa zona cerebrale, mentre nei destri bisogna fare oscillare l’informazione verso l’altro emisfero e ciò necessita alcuni centesimi di secondo supplementari.
Per autori come Guy Azemar ciò spiega che, nel tennis, i mancini brillano maggiormente nella volée e i destri invece più spesso da fondo campo.
Per Guiard la spiegazione è ancora altrove. Egli ha osservato che un grande numero di mancini (tra il 50 e il 70%) conserva un’organizzazione corticale da destri con un emisfero sinistro dominante per le funzioni del linguaggio ed un emisfero destro specializzato nel trattamento delle informazioni spaziali e sensomotorie.
Queste due funzioni saranno sollecitate durante sforzo; l’atto sportivo suppone, contemporaneamente, una verbalizzazione interna ed una percezione ultrarapida delle situazioni.
In una situazione d’urgenza, il mancino avrà il vantaggio di una migliore ripartizione dei compiti a livello cerebrale.
Secondo uno studio canadese, effettuato all’Università dell’Ontario, le fibre nervose (circa due milioni) che collegano i due emisferi (“corpo calloso”) saranno più numerose nei mancini che nei destri.
Questo li avvantaggerà nelle prese di decisione ultrarapide. In altre situazioni, invece, questa tipologia di lateralizzazione costituirà piuttosto un handicap. Nelle discipline atletiche che necessitano una lateralizzazione molto forte come nei lanci, nel salto con l’asta e certamente nel decathlon, i mancini sono poco rappresentati. Stessa cosa tra i giocatori di freccette, come hanno osservato alcuni ricercatori inglesi.
Nel golf, e questo è ancora più curioso, si trova una proporzione importante di mancini, ma che però giocano come dei destri con la mano sinistra in alto al club (mazza)!
Anche nel tennis si incontra questo fenomeno. Dei mancini cosiddetti maggioritari – che scrivono e disegnano con la mano sinistra (mano dominante) – tengono spontaneamente la racchetta con la destra (mano conduttrice) e giocano il rovescio a due mani con una forza ed una precisione diaboliche.
Certi giocatori scelgono anche di giocare tutti i loro colpi con due mani. La mano conduttrice si trova allora posta in basso al manico, e questa non è forzatamente la mano dominante.
In altre discipline, come il baseball, si ritrova questo caso con dissociazione della mano dominante e della mano conduttrice, e ciò influenza lo stile di gioco.
Nell’hockey su ghiaccio, per esempio, alcuni studi hanno mostrato che i giocatori che tengono la parte finale della mazza con la mano dominante hanno uno stile di gioco centrato sulla finezza, mentre quelli che la tengono con la mano non dominante hanno uno stile di gioco centrato sulla potenza.
Invece l’ambidestria naturale è piuttosto rara in una popolazione normale.
Per il ricercatore René Zazzo l’ambidestria è “la più cattiva delle formule”. Essa sarà all’origine di tutti i tipi di difficoltà d’espressione, di comportamento, ecc. Essa è anche eccezionale nello sport.
Nel tennis si conoscono solo alcuni esempi di giocatori che cambiavano di mano a ciascun colpo: l’italiano Giorgio de Stefani negli anni ’30, l’americano Beverly Baker Fleitz negli anni ’50, il cecoslovacco Pavel Hutka negli anni ’70 e Luke Jensen nel famoso doppio americano degli anni ’90.
Quest’ultimo possedeva anche l’ambidestria nel servizio, in cui cambiava di mano. Nel circuito attuale, solo la russa Edvgénia Koulikovskaya (19 anni) utilizza questa strana tecnica e che è meno vantaggiosa di quanto si immagini di primo acchito.
Non è quindi auspicabile un’ambidestria perfetta. Invece molto discipline richiedono che si lavori specificatamente il lato più debole per portarlo al livello di prestazione dell’altro. Si pensi al pugilato, alla pallacanestro, alla ginnastica artistica, ecc.
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